Imola, autunno 2017.
Una domenica di metà Novembre avrebbe lasciato un segno incancellabile in me: ero arrivato alla mia prima gara di auto.
No, purtroppo non nel senso che probabilmente stai pensando: la mia prima gara non “dietro” ad un volante (magari..) bensì da spettatore.
Cosa può esserci di così divertente guardare i piloti gareggiare? Quale traccia permanente può lasciare una domenica qualunque in un Autodromo italiano?
Ok, se vuoi conoscere la mia storia leggi le prossime righe.
Ore 8.
La sveglia suonò presto, quella domenica.
Ero eccitato all’idea si prepararmi per una domenica intera in Autodromo ad Imola, al mitico Enzo e Dino Ferrari.
Ovviamente non ero da solo: non in compagnia della ragazza di turno, non in compagnia di un amico ma in compagnia del mio Vecchio. Persona burbera, apparentemente mai contenta: ma ormai lo conosco da un po’ di anni ed ho imparato a capire quando si diverte.
Aprii la finestra, il sole autunnale faceva capolino tra i palazzi dinnanzi alla finestra della mia camera e l’aria era garbata. Il meteo era clemente quella domenica (4 giorni prima venne addirittura qualche centimetro di neve!): si preannunciava una giornata di tepore autunnale, di quelle con il sole basso ed ombre lunghe, tutta tinta di una intensa sfumatura arancione.
Colazione veloce in famiglia, preparazione rituale dello zaino con i viveri per la giornata e via, in auto verso Imola.
Ero fortunato: meno di un’ora di viaggio per raggiungere l’Autodromo e trovare parcheggio.
Programma della giornata? Particolare: una mandria di Tori era pronta a scatenarsi lungo quelle 19, infernali curve. Forse avrai capito di cosa si trattava: Lamborghini SuperTrofeo World Final, o Finali Mondiali Lamborghini SuperTrofeo nella nostra lingua.
Parcheggiammo non lontano dall’autodromo e gustai l’emozione di avvicinarmi all’ingresso con l’eco del rombo – pardon, musica – dei motori sfrecciare in fondo al rettilineo.
Sentii una specie di farfalla allo stomaco in quel momento: papà lì con me (come diversi anni prima era nostra consuetudine partecipare al Motor Show di Bologna), i motori di sottofondo, Imola,.. insomma, i presupposti per una giornata speciale c’erano tutti.
Mi avvicinai all’ingresso, sotto alla Torre Dekra, e varcai i cancelli. Mi ritrovai catapultato in una realtà parallelo, praticamente.
C’era già tanto pubblico, complice la gratuità dell’evento.
La prima cosa curiosa che notai era il formicolare di personale e meccanici dei team; la domanda scontata fu: “Ma dove corrono così di fretta?”
Addetti ai lavori con tra le mani cartelline piene di fogli di carta, dischi freno delle auto, carrelli carichi di gomme che ti facevano spostare al “Permesso!” risoluto del meccanico di turno.
Mi preoccupai subito di veder volare quei mostri lungo il rettilineo della pista: quale posto migliore della terrazza sopra ai box per godersi tutto ciò?
Imboccai la rampa di scale che portava al piano superiore dei garage, con passo sostenuto e sollecitando il Vecchio a seguirmi.
Arrivai sul piano, e corsi letteralmente al parapetto: ragazzi, che spettacolo!
Fine Parte 1/3
Erano circa le 10 della mattina e lungo la pit lane dell’Autodromo erano schierate molte delle squadre partecipanti all’evento.
Riconobbi immediatamente le vetture dell’Imperiale Racing, le vetture di Antonelli Motorsport, Raton e quelle di Bonaldi: non seguivo assiduamente le classifiche del monomarca ma sapevo essere tra le auto meglio preparate dai rispettivi team e guidate da alcuni dei piloti più forti presenti all’evento.
Ora comprendevo il brulicare furioso degli addetti dei team.
Se nel paddock però mi sembrava quantomeno curioso, ora, ne capivo il senso. Gli ingegneri seduti al muretto, che davano indicazioni dei tempi sul giro dei rispettivi avversari, erano attentissimi ad appuntare tutte le informazioni che ritenevano utili nei briefing coi piloti; i meccanici, al cui sguardo non sfuggiva quasi nemmeno una vite fuori posto, erano attenti alle indicazioni degli ingegneri per intervenire sulle auto e nel frattempo sistemavano attrezzature e ricambi come gomme (pile e pile di gomme!), serbatoi per i rifornimenti di carburante e bombole di aria compressa per alzare le auto al loro rientro.
Ecco. Ne arriva una. La scorgo entrare in pit lane e dirigersi verso la propria piazzola assegnata. Non riconosco il team, poco importa.
Quello che vedo pare essere quasi un concerto di un’orchestra sinfonica: la Huracàn SuperTrofeo si ferma e in un attimo i meccanici eseguono le verifiche di rito sulla vettura. La vettura si alza, misurazione delle temperature delle Pirelli, lettura delle pressioni a caldo e regolazione di essa sulle gomme posteriori, pulizia del parabrezza dalle gocce di umidità di una qualsiasi mattinata autunnale emiliana, scarico dati.
Dentro di me immagino il team radio del pilota, che mentre percorre il giro di rallentamento, comunica al proprio ingegnere ciò che sente dalla vettura:
– “Robby, la macchina fatica ad uscire dalle curve.. Do gas ma il Traction si attacca di continuo! Sembra che non abbia trazione.. strano perché ieri pomeriggio eravamo quasi a posto!”
– “Luca.. tranquillo.. l’asfalto questa mattina è qualche grado più freddo, è normale che hai queste sensazioni. Proviamo intanto a calare un poco la pressione delle gomme posteriori, così si alza la temperatura della mescola e vediamo se recuperi un po’ di aderenza. Non tocchiamo la mappa del Traction ora, scarichiamo i dati e mentre sei dentro a provare la modifica ci do un’occhiata. Se non funziona ancora interveniamo altrove”.
Ovviamente subito dopo le indicazioni vengono trasmesse ai meccanici:
– “Ragazzi, Luca entra: pulizia parabrezza, misura temperature mescole, giù 0,15 bar alle posteriori, scarico dati dall’acquisizione. Quando hai l’acquisizione dati lo analizziamo subito insieme, che valutiamo l’intervento del Traction”.
Tutto ciò compresso in poche decine di secondi.
Un giovane ragazzo, avrà avuto 26/27 anni in apparenza, corre col PC in mano al muretto e lo vedo gesticolare e indicare con l’indice lo schermo.
Il pilota lascia i box in tutta fretta, leggo il tempo sul tabellone della pista: mancano ormai 14 minuti al termine delle prove. Risultato? Sicuramente è l’ultimo ingresso-uscita dalla pit per testare le modifiche.
La SuperTrofeo accelerò dalla piazzola fino al raggiungimento del Pit Limiter: un bizzarro borbottamento proveniva da quei due meravigliosi scarichi centrali.
Il lamentio del cambio sottomesso alla coppia del motore sembrava quasi essere un pianto, un grido di aiuto per ciò che sarebbe successo da lì a pochi metri: linea del pit out, via il limitatore di velocità ed il motore che sale di giri in maniera progressiva ma con una grinta impressionante.
Pam-Pam! Le marce venivano innestate dal pilota una dopo l’altra con rapidità, sincronizzate con due lingue di fuoco accennate dai terminali di scarico. Era già all’ingresso del Tamburello.
La mattinata trascorse così, tra un turno di libere e l’altro. Le qualifiche erano già stabilite dall’ordine di arrivo delle gare precedenti, corse il giorno prima.
Non mi interessava granché. Non vedevo comunque l’ora di continuare ad esplorare il paddock.
Scendemmo dalla terrazza ed iniziammo a camminare, ma soprattutto a curiosare, in tutto il paddock. Non credo che sia immenso il paddock di Imola, ma quel giorno mi sembrava più grande di come è in realtà.
Fine Parte 2/3
Le World Final sono le finali dei tre campionati che organizza Lamborghini in giro per il globo: è suddiviso tra campionato America, campionato Europa e campionato Asia.
In ognuno di questi campionati, svolti su circuiti della zona, corrono le Huracàn allestite allo stesso modo; forse l’unica cosa di diverso penso possa essere la benzina, in quanto in ogni paese possono esserci diversi standard in quanto a raffinazione e commercializzazione.
Da qui si capisce la vastità di tende ed hospitality: raccogliere un numero di auto e persone in uno spazio tutto sommato “ristretto” richiede un buon livello organizzativo.
Passammo dal retro dei box fino al piazzale in cui svariati team avevano gli slot di lavoro. E le hospitality di alcuni team predominavano imponenti su chi allestiva aree di lavoro più discrete.
Ovviamente i team europei la facevano da padrone, per ovvi motivi logistici.
Così scorgevo le aree pranzo, le aree relax (popolati da ospiti degli stessi team) ma soprattutto gli slot in cui si gestivano le vetture tra un turno e l’altro.
Fu curioso vedere meccanici più “delicati” che sembravano coccolare l’auto mentre altri più severi che sembravano invece percuoterla.
“Largo! Attenzione! Via!”: mi voltai, guardandomi le spalle. Cosa doveva arrivare?
Assistetti all’arrivo di un carro-attrezzi: appena sterzate le ruote, notai una vettura danneggiata numerata col 24.
Rimasi lì finché non fu scaricata a terra, su dei carrelli per poterla movimentare nonostante le condizioni.
“Ha picchiato forte il cinno! Boia d’un mònd!” riconosco il tipico intercalare emiliano.
“La carrozzeria anteriore, i parasassi delle ruote, la scatola guida, il radiatore acqua, i consogliatori dell’aria anteriori, e poi proviamo in dima il telaio per vedere se è dritto.. sembra di sì, speriamo ben va là” la risposta del collega: penso proprio che fosse la stima dei pezzi danneggiati da sostituire.
Un lungo o un testa coda nel punto sbagliato, ad Imola, lo paghi molto caro. Anche di portafoglio.
Mi allontanai mentre si accingevano a portare la 24 sotto la tenda, per sistemarla (o almeno provarci!) in vista della gara pomeridiana.
Camminando alle spalle dei garage, trovai un box “più box” di altri: era il garage ufficiale di Lamborghini Squadra Corse.
Riuscii a scorgere tra i pannelli due vetture: una meravigliosa SuperTrofeo con una livrea speciale per l’evento e addirittura una Huracàn GT3, quella con cui Lamborghini correva nel campionato BlancPain. Erano schierate, impettite, in pit durante la pausa pranzo per una serie di eventi dedicati ai giornalisti. Che invidia essere giornalista, in quelle circostanze.
Io e papà ci eravamo abbarbicati in alto sulle tribune di fronte ai box e, mentre ci stavamo rifocillando, ascoltavamo quanto più attentamente possibile le vetture per individuare i rumori meccanici provenire da quei due mostri: inutile dire che io non percepivo praticamente nulla, se non i dB uscire dagli scarichi.
Il pomeriggio lo dedicammo ad assistere alle tre gare previste. Solo una parte di una di esse camminammo lungo la prima parte del circuito, fino quasi alla Tosa.
Nel vagare avanti e indietro, tra un momento di raccoglimento vicino Senna ed una riflessione vicino a Villeneuve, trovammo un buco nella siepe nei pressi dell’ingresso del Tamburello.
Non c’era nessuno, quindi ne approfittammo per avvicinarci alle reti di protezione ad osservare il nastro di asfalto e le vetture correrci sopra.
Era un punto veramente interessante: il punto in cui meglio si apprezzava il diverso stile di guida dei piloti, o per meglio dire “il pelo sullo stomaco” di ognuno di essi. Lì si udiva benissimo chi aveva gli attributi per staccare tardi e chi invece parzializzava il gas per arrivare più piano all’ingresso della prima variante.
Era fantastico ascoltare quel V10 arrivare con furia cieca, a tutto gas, e in un istante buttare giù 3 marce per impegnare il telaio in un sinistra-destra-sinistra che visto dal vivo ha del folle in quanto a velocità di percorrenza!
La giornata stava volgendo a conclusione, un’ultima cosa desidero condividere con te; una curiosità.
Le gare erano terminate, le premiazioni ultimate ed il paddock si stava svuotando.
Con il Vecchio stavamo camminando verso l’uscita, con i piedi doloranti.
Mi guardavo attorno, un po’ malinconico. Mi balzò all’occhio un ragazzo che stava ridendo con un gruppo di amici. Ma.. cos’aveva al collo? No dai, è imposs.. ma è.. un disco freno!
Sì: si stava portando a casa un souvenir dalla giornata di gare di oggi!
E non era l’unico! Dischi finiti, pastiglie usurate, bocchette aria rotte,.. insomma, chi più ne ha più ne metta!
Ed io?
Beh, quello che mi porto appresso dopo questo giorno non è tangibile: è’ un miscuglio di sensazioni, odori, suoni che faccio fatica a descrivere.
Ci ho provato: perciò voglio che anche tu, un giorno, possa entrare in un Autodromo per la prima volta e vedere con gli occhi della passione ciò che alle persone normali non è dato osservare veramente.
Chi vive di Motorsport, e motori, comprenderà.
Fine Parte 3/3
Francesco Spinelli, Rally Factor Driving School
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